Norvegia, ultimi anni dell’Ottocento: Thomas Stockmann, medico delle terme, scopre che le acque della stazione termale, vanto della cittadina in cui risiede, terme di cui è sanitario responsabile, sono contaminate. Vuole avvisare subito la popolazione e fare avviare i costosi interventi di manutenzione che imporranno una forzata chiusura della struttura. Questi lavori ripristinerebbero in fretta l’onore che altrimenti, pensa il dottore, si perderebbe come comunità locale.
Il sindaco della cittadina e presidente delle terme, Peter, fratello maggiore di Thomas, è però di idee opposte e vorrebbe mettere a tacere il tutto, senza intraprendere nulla. È con questa semplice premessa che si accende l’intreccio di «Un nemico del popolo», dramma borghese di Henrik Ibsen andato in scena, per la prima volta, ad Oslo il 13 gennaio 1883. Era nel cartellone dello Stabile di Torino, al Carignano, fino al 1° marzo, nella scintillante ed energica messa in scena del Teatro di Roma, con Massimo Popolizio protagonista e regista. Era nel cartellone «fino al 1° marzo» perché purtroppo, in ottemperanza alle disposizioni dell’ordinanza del «Coronavirus 2019», le repliche previste dal 25 febbraio al 1° marzo sono state cancellate, riducendo da due a una le settimane di tenitura di questo spettacolo. Dunque, peccato per quei torinesi che avevano previsto di andare a vedere «Un nemico del popolo» la seconda settimana, perché si sono (forzatamente) persi uno spettacolo di valore. E, per ora, non sono previsti recuperi del titolo ma solo rimborsi dei biglietti eventualmente acquistati in prevendita.
Nella semplice, geometrica, elegante e mutevole scenografia di Marco Rossi, un interno borghese con carta da parati a righe verticali, ora casa del dottore, ora sala del popolo, si muovono i personaggi dell’attenta regia di Popolizio: il dottor Thomas (Popolizio stesso), Peter Stockmann (una straordinaria Maria Paiato en travesti), Francesca Ciocchetti e Maria Laila Fernandez (rispettivamente, Kathrine e Petra, moglie e figlia di Thomas), Paolo Musio e Michele Nani (Hovstad e Aslacksen, il primo direttore, il secondo editore del giornale locale), Martin Ilunga Chishimba (un ubriaco, sorta di voce della coscienza), Francesco Bolo Rossini (Morten Kiil, suocero di Thomas). Siamo a fine Ottocento, ma questo del tempo del racconto sembra solo un dettaglio: la rettitudine specchiata dell’uomo di scienza che scopre il guaio delle fonti termali inquinate. All’opposto la politica affarona, rappresentata dal sindaco, che per convenienza e quieto vivere vuole mettere a tacere tutto. Sindaco e dottore che sono fratelli. E il confronto, pubblico, dove lo specchiato Thomas ha la peggio, passa per corvo menagramo e, anzi, diventa chiaramente «un nemico pubblico», da dileggiare, osteggiare, emarginare, ridurre al lastrico. A meno che… non faccia abiura delle sue posizioni, delle sue scoperte. Che dica di essersi sbagliato, propone un mellifluo e minaccioso Peter a Thomas. Allora, status e patrimonio sarebbero immediatamente salvi. E intanto anche il suocero Kiil che avrebbe comprato le azioni in calo delle terme, a prezzi stacciati… Fine Ottocento, ma sembra oggi. Inquinamento, politica che disprezza le istanze di giustizia, inqualificabili speculazioni finanziarie. Massimo Popolizio giostra con mano sicura i suoi personaggi, memore del suo maestro Luca Ronconi (in alcune cadenze date alle battute, in alcune posture che riempiono gli spazi) ma dando anche libertà creativa ai suoi attori. Ne esce una rappresentazione venata di profonde e sulfuree colorazioni satiriche, metallicamente blues in alcuni stacchi musicali e, anche, per la presenza in scena del fool interpretato da Martin Ilunga Chishimba. Nord Europa che a tratti, se non fosse per i begli abiti di scena fine Ottocento disegnati da Gianluca Sbicca, potrebbe sembrare l’America di Steinbeck e dei suoi così ben narrati furori. E poi il tritacarne dell’assemblea pubblica e della manipolazione dei media, che così da vicino, mutatis mutandis, ricorda molte delle storture e degli abusi tecnologici della nostra contemporaneità. E, al centro di tutto, il Thomas di Massimo Popolizio che, come attore, non lo si scopre certo oggi: domina la scena con energia elegante, dolente e appassionato a un tempo. Che nulla può contro «La voce del popolo» (è il nome del periodico locale reso dalla traduzione di Luigi Squarzina adottata per questa messa in scena). Applausi.
Pietro Caccavo