I venti Paesi più poveri del mondo concludono il loro primo incontro alternativo al G20 con una consapevolezza: l’emergenza non ha fine e si declina in molti modi, con cause scatenanti antiche e nuovi volti. Alla fame atavica si aggiunge la sete, alla povertà endemica siccità e alluvioni, alla bramosia del profitto le strategie politiche. Solo un nemico resta quello di sempre: la guerra.
I due terzi dei venti Paesi più poveri – Malawi, Etiopia, Guinea Conakry, Liberia, Yemen, Guinea Bissau, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Sierra Leone, Burkina Faso, Eritrea, Mali, Burundi, Sudan, Ciad, Sud Sudan, Repubblica Centroafricana, Niger, Libano e Afghanistan – vivono un conflitto, una guerra civile o fronteggiano scorrerie dell’insurrezione jihadista. Paesi a reddito medio, come il Libano o la Siria precipitano nella povertà a causa della guerra.
Al termine dei quattro appuntamenti italiani “The Last Twenty” chiedono, con un documento inviato ai membri del G20, all’Unione Europea e al Governo italiano, di promuovere iniziative di pace e di affrontare congiuntamente le altre emergenze.
Per esempio favorendo la revisione della filiera alimentare, che lascia le briciole ai produttori, mentre distribuzione e logistica si dividono il resto: ma anche favorendo la agro-ecologia e la biodiversità compromesse dall’azione fagocitante dei produttori di sementi, soprattutto OGM.
Le aree coltivabili in Africa hanno scatenato l’appetito dei cinesi, che in pochi anni hanno acquistato terreni agricoli da affiancare allo shopping di miniere, per un territorio grande come la Francia. Contemporaneamente hanno invaso l’Africa di prodotti cinesi a basso costo uccidendo l’artigianato locale di scarpe e utensili per la casa.
L’emergenza alimentare avrà nuovi picchi con le enormi dighe in costruzione sia in Africa sia in Asia: basti pensare alle modifiche che lo sbarramento in Etiopia porterà al corso del Nilo, con l’impoverimento di tutte le aree lungo a valle, in particolare alla foce egiziana. Una situazione che rischia di scatenare il conflitto tra Etiopia, Sudan ed Egitto.
Salute, istruzione, energie alternative gli altri obiettivi prioritari. Gli investimenti dei Paesi più ricchi devono essere costanti, proiettati a lungo termine e concentrarsi su progetti prioritari per consentire il progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei Paesi più poveri. L’unica strada che sembra percorribile per favorire anche cammini di democrazia e di lotta alla corruzione.
L’evento “The Last Twenty” ha fatto emergere «la indispensabile necessità che tutte le ONG e le organizzazioni di volontariato decidano di unire le forze – commenta Tonino Perna, vice sindaco di Reggio Calabria, coordinatore del Comitato The Last Twenty – coinvolgendo le comunità di immigrati dei Paesi europei, che possono svolgere un ruolo fondamentale di ponte verso i Paesi di provenienza».
Dandosi appuntamento al prossimo anno i partecipanti a The Last Twenty hanno registrato l’adesione di due nuove importanti realtà. Il Gruppo Abele e la rete nazionale Laudato Si’.
Mauro Fresco su La Voce e Il Tempo del 10 ottobre 2021