Reggio Calabria, tra il 22 e il 25 luglio. “The Last Twenty”, primo incontro tra rappresentanti dei 20 Paesi più poveri del mondo, Onlus e Ong che lì operano, sindaci italiani che hanno scommesso sull’accoglienza e la cooperazione, comunità di immigrati, delegati della Chiesa Cattolica e della Federazione delle Chiese Evangeliche. L’apertura del dibattito su emergenze climatiche e sanitarie, fame e impoverimento, accoglienza e pace tra i popoli, è affidata in video conferenza a una donna: afgana. Quaranta giorni dopo non sarebbe possibile. L’abbandono del Paese da parte delle truppe della coalizione occidentale e il ritorno dei Talebani al potere ha portato l’Afghanistan nel caos e le sue donne nel terrore.
Il confronto di Reggio Calabria è stato promosso da CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afgane), Binario 15 e Unire. Binario 15 è un’associazione di volontariato che opera per i diritti dei migranti, in particolare minori e donne, rifugiati e richiedenti asilo politico provenienti dall’Afghanistan.
UNIRE è stata fondata da rifugiati per i rifugiati, per restituire loro protagonismo e partecipazione attiva nella società italiana.
Il CISDA nasce a Milano nel 1999 e nel 2004 si costituisce come Onlus. Ha sedi anche a San Giuliano Milanese, Sesto San Giovanni, Cologno Monzese, Firenze, Como, Roma, Torino, Piadena, Verbania e nel Tigullio. «Fin dall’inizio – spiega Graziella Mascheroni, che segue i progetti di sostegno e la gestione finanziaria – CISDA opera in Afghanistan per attivare iniziative promosse da afghane: ambulatori sanitari; centri legali di assistenza per donne e bambini vittime di maltrattamenti da parte di mariti e padri; corsi di alfabetizzazione e avviamento al lavoro; realizzazione di case famiglia; imprenditoria agricola per la coltivazione dello zafferano».
Sono nati così, grazie alla collaborazione con Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), Hawca (Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan) e Opawc (Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities) la scuola e l’orfanotrofio gestito da Afceco (The Afghan Child Education and Care Organization) di Kabul che negli anni hanno consentito a molte afgane di studiare fino alla laurea. Lo stesso impegno ha permesso la nascita, sempre a Kabul, del centro di assistenza legale e psicologica per donne maltrattate in famiglia, che vengono affiancate durante i processi per ottenere il divorzio e l’affidamento dei figli e per costruirsi indipendenza economica. A Herat, capoluogo dell’omonima provincia occidentale che confina con l’Iran, CISDA ha coinvolto dodici donne nel progetto Giallo Fiducia: coltivano ed esportano zafferano e cercano di convincere i contadini locali a sostituire nei campi l’oppio con la pregiata e redditizia spezia.
I progetti di CISDA sono stati finanziati da Fondazione Cariplo, Banca Intesa, Unione Europea, ministero degli Affari Esteri italiano, Fondazione Adiuvare (italo-svizzera) e con donazioni private.
Cosa succederà ora? «CISDA mantiene i contatti con le donne in Afghanistan – assicura Mascheroni –; abbiamo subito lanciato una raccolta fondi straordinaria, ma il problema è come inviare il denaro tramite canali sicuri per evitare che vadano a finire nelle mani sbagliate o dispersi nei rivoli della corruzione. Le emergenze più gravi sono l’enorme numero di sfollati interni, in marcia soprattutto verso Kabul; i minori nell’orfanotrofio di Kabul bersaglio dei Talebani; il centro per le donne maltrattate, sempre a Kabul. Queste ultime sono ora ospiti di famiglie ma temiamo per la rappresaglia del nuovo governo».
L’Afghanistan – dal 1979 teatro di conflitti armati e di interposto scontro tra potenze mondiali, dal settembre 2021 tornato in mano ai Talebani – sembra poter declinare il proprio futuro solo se la solidarietà internazionale saprà puntare senza titubanze su quelle che a oggi sembrano le uniche speranze: l’istruzione e le donne.
Mauro Fresco su La Voce e Il Tempo del 12 settembre 2021