La Saint Paul’s Chapel a New York, miracolosamente sopravvissuta al crollo delle Torri Gemelle malgrado disti poche centinaia di metri, l’11 settembre 2001 divenne centro di accoglienza e conforto per pompieri, poliziotti e volontari impegnati nei soccorsi. Oggi, le foto sulle pareti testimoniano quei giorni e i volti appartengono a tutte le etnie del mondo, solidarietà senza barriere, ideologiche, di razza, sesso o religione.
Dal 1613, data della fondazione, New York è così, non solo Stati Uniti, ma mondo. I circa mille abitanti di allora sono diventati più di otto milioni, con ondate ricorrenti di immigrazione che non cessano mai. In città si parlano 170 lingue, gli oltre 800 luoghi di culto ospitano fedeli di tutte le religioni che pregano il loro Dio. Un crogiolo di speranze in movimento continuo, un furore di aspettative che riempie le scuole dalle materne alle università di figli di immigrati, la linfa della città che si trasforma in eccellenza in tutti i settori delle attività umane.
«Troppa energia» è il lapidario giudizio della newyorkese elegante in metropolitana; e contraddizioni. La liberal e cosmopolita New York si è fatta paladina della green economy, ovunque si leggono inviti a riciclare, usare responsabilmente le risorse energetiche, ripudiare il cibo spazzatura per una dieta sana ed equilibrata. Però: all’angolo di ogni strada imperversano venditori di hamburger e hot dog, un passante su due ha in mano un bicchierone marcato Starbucks, entrando in un museo oppure in un negozio in estate è d’obbligo il maglione perché l’aria condizionata a palla abbassa la temperatura in modo insopportabile, i mille schermi giganti di Times Square eruttano spot 24 ore su 24.
Tutto ciò che avviene a New York diventa tendenza, moda, mito. La finanziarizzazione dell’economia è nata qui, ben prima degli anni ’80 del secolo scorso quando il presidente democratico Bill Clinton negli Stati Uniti e il socialista Jacques Delors nell’Unione Europea diedero il via alla deregulation che consentì alle banche di ampliare all’infinito le attività finanziarie.
I coloni olandesi che comprarono Manhattan dai nativi Lenape trasformarono subito l’attività economica da agricola a commerciale, la fortuna di essere porto naturale sulle sponde dell’Atlantico e sulle rive dell’Hudson ha fatto il resto.
Lo stretto connubio tra politica e finanza a New York è realtà da sempre, il denaro è il dio che tiene insieme questa città. Lo documentò nel 1939 Florine Stettheimer, con l’olio su tela “La cattedrale di Wall Street”, esposto al Metropolitan Museum of Art: la Borsa di New York trasformata in tempio, luogo di incontro tra la politica (il presidente di allora, Franklin Delano Roosevelt) e la finanza (Bernard Baruch, John D. Rockefeller, J. P. Morgan).
La speranza di New York, e quindi di tutti, è che la stessa energia che ha consentito di ricostruire il World Trade Center – come una Fenice del XXI secolo – produca il nuovo necessario equilibrio dell’economia mondiale, liberata dal cappio della finanza, attenta ai sogni, più che ai bisogni, dell’uomo.